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Tristezza: L'emozione repressa della società, ma che serve.

di Kristen Iaria - Le emozioni sono fondamentali nel ciclo vitale, tuttavia si tende spesso a considerare alcune emozioni come “positive” e altre “negative”, alcune “giuste” e altre “sbagliate”. Tutte le emozioni che si provano sono importanti, anche la tristezza!



La tristezza può essere considerata un segnale che il sistema di attaccamento si è attivato quando si sente il bisogno di protezione e vicinanza. Quest’emozione riveste un ruolo centrale nello sperimentare promuovendo la riflessione e l’analisi profonda e autentica sugli eventi della vita .La società odierna impone “l’essere felici”, la maschera sociale che crea illusione. Già da piccoli quando succede qualcosa gli adulti raccomandano il sorriso, cosa alquanto stupida e pericolosa!


Stupida perché indossare una maschera e recitare il ruolo della persona felice può creare un serio disturbo di personalità. Pericolosa perché dopo un po’apparire per come non si è fa emergere dubbi su sé stessi. Il motivo per cui si dà così importanza al cercare di apparire felici o per lo meno di stare bene è che nella nostra società le apparenze sono tutto. Fromm direbbe che è una sorta di “AMMALARSI DI NORMALITÀ” dove il modo in cui vedono gli altri ha una priorità nettamente superiore rispetto al modo in cui ognuno vede sé. Essere sé stessi viene visto come difetto e spesso scambiato come narcisismo. In una società capitalista spesso l’individualità viene schiacciata dalla paura di essere giudicati e quindi fingere di essere felici è la ricetta collettiva. Paradossalmente, nel disperato tentativo di non venire emarginati, si sprofonda in una depressione silenziosa e solitaria ma pur sempre felice. Mostrarsi tristi potrebbe significare non essere sufficientemente interessanti o attraenti per gli altri. Un pensiero comune è che se si inizia a sentire la tristezza si potrebbe essere tristi per sempre non comprendendo che la tristezza, come ogni altra emozione, è caratterizzata dall’essere uno stato transitorio. Come anni fa sosteneva fortemente Hermann Hesse “la tristezza, i dolori, le delusioni e i malesseri non sono fatti per farci sentire scontenti e toglierci valori e dignità, ma solo per farci maturare”, e quindi chi non conosce la tristezza nella sua vita non riesce a maturare psicologicamente ma soprattutto individualmente.


Per sentire la tristezza esprimendola all’esterno, occorrerebbe consentirsi di dire di essere vulnerabili, ma questo non è facile, non per chi si deve omologare alla società felice. Così si rischia di non sperimentare la tristezza, di non darsi la possibilità di imparare a gestirla e non accettandola come parte della vita, una naturale fase di passaggio. E quindi ci si adatta ad una maschera dove le emozioni negative, soprattutto la tristezza, vengono spazzate via: purtroppo però seppur non vissute esternamente, internamente vivono non solo nel cervello ma anche in tutto il corpo creando illusioni e malesseri.


Per star bene con sé stessi occorre quindi sperimentare ogni genere di emozione, dalla più piccola alla più grande, dalla più brutta alla più bella, da quella considerata “insana” a quella “sana”, perché reprimendole sarà come avere una bomba ad orologeria dentro di sé, ma non sapendo quando questa potrà scoppiare.




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